Sommario del sito

Turchia 2005

Tragitto ideato per Turchia 2005
Tragitto

Informazioni utili per Turchia 2005
Info utili

Diario di viaggio di Turchia 2005
Diario

Letture consigliate per Turchia 2005
Letture

 Diario di viaggio Turchia 2005

Pagina precedente
Indice

Pagina 1 (di ?)
(?)

Pagina successiva
Pagina 2

Prima di tutto riporto il chilometraggio di Nelik!

Contachilometri alla partenza
199.112

Contachilometri all’arrivo
203.682

Chilometri percorsi 4.570

Giornate:
5 agosto 2005
6 agosto 2005
7 agosto 2005
8 agosto 2005
9 agosto 2005
10 agosto 2005

05/08/2005 h.18:22
Questo è il primo momento di sosta dopo allucinanti settimane frenetiche. Continuo ad avere un senso di angoscia, sento lo stomaco stretto dall’ansia. Mi sento incastrato da mille impegni, persone, obblighi espliciti e non, scontati e non. Sono catturato da un vortice che non è mio, da una vita che non voglio. Il vortice lo vedevo, sapevo che ci sarei finito dentro e l’angoscia nasce dal non sapere come uscirne, come cambiare e tornare a vivere.
Il tempo... Non ce l’ho più, l’ho venduto, non avrei voluto cederlo ma l’ho fatto,per un tot al mese.
Riguardo al viaggio, per la prima volta anche questo diventa un motivo di angoscia perchè non mi sento padrone della mia vacanza. Verranno persone che non conosco, che non ho cercato. Voglio stare in tranquillità, spaziare in zone remote, a modo mio spirituali. In fondo è un’altra versione del luogo tanto amato da Aruna.
Parto con mille dubbi, mille ansie, su come andrà il viaggio, dove andremo, con chi, come sarà Cate, al suo primo viaggio in moto.
Non ho ancora preparato nulla, letto nulla, pensato a nulla e domani sera ci sarà il traghetto. Sfrutterò i due giorni di navigazione per iniziare ad entrare nello spirito del viaggio, di un’altra avventura.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

06/08
Mattino: è già previsto un ritorno a casa dei miei per sistemare da loro la moto di Cate e prendere le ultime cose dimenticate.
Va già meglio, anche se non ho dormito molto.
Alle 11:30 riusciamo a metterci in sella!
Finalmente partiamo, la moto carica inizia a farmi realizzare che è tutto vero anche se è avvenuto senza soluzione di continuità.
Sull’autostrada c’è molto traffico, per fortuna da Caianello a BN è sgombro.
Pranzo luculliano dai genitori di Cate, BN-BR infinita soprattutto la superstrada da BA.
Il vento è molto forte, la strada stretta, le auto danzano fluidamente da una corsia all’altra: destra, sinistra, destra, indietro, avanti, sinistra.
Mi chiedo come facciano a non fare incidenti in continuazione. L’ennesima triste coincidenza si verifica dopo pochissimi minuti: traffico bloccato, ambulanza. Nell’altra corsia vediamo un casco appeso al muretto centrale, un mare di motociclisti in piedi, in lacrime, uno a terra, coperto da un lenzuolo.
È un pugno nello stomaco, so di avere poco in comune con quel ragazzo, con il suo modo di vivere la moto, ma mi colpisce ugualmente.
Dopo pochi km un altro incidente, cruento ma non credo mortale. Tutte auto stavolta.
Arriviamo al porto e vedo, in ritardo, un sms di Abe che ci avverte di aver già ritirato i biglietti per tutti e pagato le tasse di imbarco.
Lo raggiungiamo nel centro di Brindisi. Primo contatto con Fulvio, Ignazio [NdR: non so perchè ma per parecchi giorni sono stato convinto che Egidio si chiamasse Ignazio] e Raffaella. Al porto incontriamo il resto della truppa.
Confusione, necessità di riempire i silenzi con qualsiasi frase. Siamo troppi! Speriamo di risolvere...
Breve fila agli sportelli italiani per il passaporto, poi la notizia che la nave è in ritardo per il forte vento. Dopo un paio d’ore veniamo a sapere che in mare aperto le onde sono a forza 9! Credo che quando sono andato in Marocco, all’andata, il mare fosse forza 6 e già pensavo che saremmo affondati. Sono preoccupato. Oggi pomeriggio, qui vicino, è ammarato un aereo facendo diverse vittime, forse per colpa del vento.
Verso le 22:30 arriva la Captain Zaman, la nostra nave. Credo faremo un ritardo di 3 ore, nemmeno tanto. Spero che la notizia del mare forza 9 sia esagerata!
Le auto iniziano a scendere quasi un’ora dopo l’attracco, nel frattempo si è formata una coda lunghissima per entrare. In testa ci sono molte moto, una trentina almeno. Che differenza rispetto a due anni fa quando ero l’unico!
Caterina mi accusa di non scrivere mai il suo nome e di non parlare mai di Caterina: che idee!
Rimettiamo insieme i bagagli e andiamo a metterci in fila.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

07/08
Ieri notte siamo saliti immediatamente poi c’è stato il ritiro dei passaporti e l’assegnazione delle stanze. Il personale di bordo è in buona parte ucraino anche se la nave batte bandiera panamense, come nel migliore dei gialli. Finalmente ho l’occasione di riprendere il russo, sono almeno due anni che non lo parlo con nessuno.
La stanza, per essere un traghetto, è molto ampia, ha il bagno interno, un tavolino e un armadio. È il piano Lux, le altre più economiche erano già prenotate quando ho comprato i biglietti su Internet.
La notte è passata veloce, si dorme bene!
Alle 6 gli altoparlanti hanno iniziato a scandire l’intera giornata con comunicazioni di servizio.
Gli orari sono scomodi: colazione dalle 7 alle 7:45, pranzo dalle 12 alle 12:45, cena dalle 19 alle 19:45. Mangiamo nel ristorante di lusso della nave, nel senso che siamo seduti a tavoli da 4 e il personale passa a servirci, mentre gli altri passeggeri mangiano in un’ampia sala self-service.
Il giorno scorre lento anche se essendo in gruppo si chiacchiera molto e mi ritrovo a metà pomeriggio senza accorgermene.
Finalmente, dopo mesi che avevamo pensato al viaggio, dopo settimane che avevamo prenotato il traghetto, per la prima volta Cate ed io riusciamo a metterci davanti ad una cartina con gli appunti presi da varie riviste e siti Internet e la guida e iniziamo a immaginare un possibile itinerario.
I giorni in nave mi piacciono, forse perchè sono pochi, però sono l’ideale per staccare, sono parentesi vuote da riempire a piacimento. Mi sto riprendendo, è tornata l’energia, la voglia di andare in moto, di conoscere persone.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

08/08
Impieghiamo molto tempo per attraccare, gli ultimi metri sono i più lunghi. Il vento è ancora molto forte, anche se il mare è sempre stato una tavola. Chissà perchè avevano detto che era a forza 9!
Finalmente abbiamo deciso la prima tappa, anche se siamo ancora poco convinti: Cate non so bene perché, mentre Abe è molto dispiaciuto che non andiamo a Istanbul. Ancora non è chiaro se e quando lasceremo gli altri, se subito o nei prossimi giorni.
Mezz’ora / un’ora di fila all’unico sportello che vende il bollino del visto, poi una decina di minuti in uno dei 5 o 6 posti del controllo passaporti, poi altra fila di mezz’ora / un’ora per un ultimo doppio controllo su passaporto e documenti moto.
Le ragazze trovano il tipo che doveva portare la macchina affittata. Chiedono dove possiamo mangiare e ci indica un posto fuori dall’autostrada che fa ottimi kebab.
Si lasciano tutti convincere, cerco di resistere, ma è inutile. Partiamo verso un posto che non troveremo mai per poi fermarci in un locale del tutto anonimo dove, quando gli chiediamo alcuni kebab, aprono il congelatore e li tirano fuori...
Le case sono spesso belle, ben tenute, le strade pulite, il paesaggio ampio, l’autostrada lunga e noiosa, il clima caldissimo. Insomma, a parte gli spazi immensi, ancora non abbiamo realizzato di essere in Turchia.
Partiamo con Abe, poi dopo la seconda o terza sosta siamo raggiunti dalle moto e infine dall’auto.
L’asfalto è un po’ dissestato. Vediamo diversi venditori di frutta al lato della strada. Il profumo delle pesche arriva fin dentro il casco, in velocità. Ci fermiamo al primo che capita. Sotto una tettoia di rami espone quasi in verticale molte cassette, soprattutto pesche, un po’ di fichi. Il tutto è gestito da un uomo sulla cinquantina, ma c’è anche una ragazza, in disparte. Quando chiediamo se possiamo fare una foto va a prendere il figlio, lo prende in braccio e si mettono in posa. Anche stavolta mi viene spontaneo il confronto con il Marocco, dove riuscire a fare una foto era infinitamente più complicato. La frutta è ottima, sbafiamo in pochi istanti tutti i fichi, mentre le pesche le mettiamo da parte.
All’incrocio per Aphrodisia vorremmo proseguire verso il paesino facendo al tramonto gli ultimi 20 km; invece ci lasciamo convincere ad andare a Pamukkale con gli altri per vedere le vasche termali alla luce del crepuscolo.
Peccato che manchino ancora una sessantina di km, la strada sia in un paio di tratti interrotta per lavori e comunque poco adatta alla velocità, con incroci a raso e veicoli che per immettersi nell’altro senso di marcia fanno alcuni tratti contromano.
Lungo la strada Nelik compie 200.000 km, ma me ne accorgo troppo tardi, quando il contachilometri segna ormai 00.001!! La cosa mi secca PARECCHIO!!!
Nel paesino sorto nei pressi delle terme quasi investo un ragazzo che si butta letteralmente sotto le ruote per offrirci un albergo. Ci lasciamo però convincere da un altro per il suo motel a 10 lire a testa, colazione inclusa. Prima però vado a vederlo. Faccio inversione seguendo il piccolo scooter che si butta a capofitto in un viottolo che fiancheggia un rivolo dall’aspetto poco rassicurante. L’albergo è modesto, ma tutto sommato si presenta bene: ampio ingresso, vecchi tappeti a terra, stanze spoglie ma sembra esserci tutto, compresa la piscina. La guida racconta che in pochi anni, a Pamukkale, c’è stato il boom delle piscine: un po’ tutti le hanno messe in quanto gradite ai turisti, ma pare che praticamente nessuna di queste abbia il depuratore. È buio, non riesco a capire come sia fatta, ma francamente non mi interessa. Torno da Cate che nel frattempo ha ritrovato anche parte della truppa e le dico che si può fare.
Scarichiamo, saliamo, lei va in bagno. Litigio per un incredibile messaggio che leggo sul suo cellulare... nulla, non so, non riesce a darmi fiducia, soprattutto dopo aver visto come abbiamo vissuto le ultime settimane prima di partire.
Usciamo con l’intenzione di arrampicarci sulla collina delle vasche termali in notturna. Ci aggiriamo nei vicoli, ovviamente becchiamo tutti, stanno aspettando di ordinare in un ristorante turistico. Ci fermiamo anche noi, in fondo non abbiamo ancora mangiato. Ci abbuffiamo poi iniziamo ad arrampicarci, scalzi come richiesto da un paio di cartelli, sulle rugose increspature di calcare formate da veli sottili d’acqua che scorrono ovunque.
Nell’oscurità distinguiamo poco, ma ci basta per stupire. Pareti altissime e candide, cesellate dall’acqua placida. Si sono uniti anche alcuni cani randagi in cerca di carezze e, probabilmente, di cibo, che non abbiamo. Giocano tra loro, poi con noi, ci scortano fino in cima alla collina. Continuiamo ad arrampicarci senza avere chiara la sensazione di dove si arriverà. Alla fine scorgiamo una piccola pineta e delle rovine alle sue spalle. Da quello che avevamo letto sulla guida capiamo di essere arrivati a Hierapolis. Purtroppo qui non si riesce ad entrare, le inferriate sono alte e senza varchi.
Torniamo in stanza verso le 2 e mezzo del mattino accordandoci col gruppo per le 9 e 30.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

09/08
Il cattivo umore della discussione di ieri non mi è ancora passato. Mi sveglio nella stanza inondata di luce, l’ora della sveglia è passata, Cate non ha ancora aggiunto l’ora di fuso sul suo cellulare.
Chiarimento sul famoso sms, passeggiata diurna alle terme: incredibili, abbacinanti, affollate. Mi sdraio nel flusso d’acqua, in mutande. Circa la metà dei turisti sono turchi, tra gli altri italiani, russi, francesi, ecc. Pellegrinaggio costante nei due flussi, uno che sale verso la sommità della collina, l’altro che torna a valle. Il candore è tale da abbagliare come sulle piste innevate. Il contrasto tra il paesaggio circostante, verde, lievemente collinoso e fortemente inurbato e questo candido, immenso blocco di calcare finemente lavorato, è stridente.
Partenza verso Aphrodisias, strada ballerina, poi lavori in corso improvvisi, con salto in velocità su sterrato. Ottimo pranzo nel ristorante all’incrocio con la strada che porta al sito archeologico. I camerieri non spiccicano una parola di inglese, mi diverto a imparare qualcosa di turco. Fortunatamente troviamo una ragazza che lavora in Svizzera e parla francese, ci aiuta a capire la composizione dei vari piatti elencati nel menù. Il pane che fanno da queste parti è simile a una pizza alta, soffice e gustosa, insaporita con semini vari di sesamo e altre spezie. Anche la carne è ottima, classici spiedini di agnello. Un po’ di yogurt, verdure di contorno e caffè turco a chiudere. Ci congedano inondandoci le mani con dell’acqua di Colonia aromatizzata al limone. È fresca, profumata, sgrassante, piacevole.
Arriviamo alle rovine in assoluto ritardo sulla tabella di marcia, tanto per cambiare. E tanto per cambiare troviamo la macchina e le moto parcheggiate degli altri! Rovine splendide, templi e colonne immerse nella natura. Tranquillità, maestosità, il passato ci guarda, ci sfida in bellezza e solidità. Fa molto caldo, il sito sta per chiudere, veniamo scortati da una guida che silenziosamente ci spinge verso l’uscita. Ci soffermiamo nel teatro, c’è un archeologo al lavoro. In realtà non capiamo immediatamente cosa stia facendo visto che bagna leggermente i lastroni di marmo delle gradinate e li guarda di traverso, cercando di scorgere chissà cosa. È turco ma parla inglese molto bene, gli chiedo cosa sta facendo.
“Lavoro! ”
“D’accordo, ma... cosa stai guardando esattamente?”
“Le iscrizioni sulle pietre! Le bagno per vederle meglio.”
“E che si legge? ”
“Mah, un po’ di tutto... Questo è il mio posto, oppure un numero, oppure insulti alla squadra avversaria o inneggiamenti alla propria! ”
Il mondo non è poi molto cambiato, in fondo!
Usciamo, il resto del gruppo è già partito, ci troveremo sicuramente lungo la strada. Ci fermiamo a prendere da bere in un ristorante a due passi dalle rovine. Fuori ci sono molti tavolini sotto un ampio pergolato ombreggiato da alberi e dai vitigni. All’interno tappeti e molti oggetti, sia in vendita che di arredamento. Nella stanza attigua, invece, la rivendita di tappeti, arrotolati e appoggiati tutt’intorno alle pareti. Ci interessiamo a un tappeto appeso al muro, colori naturali vivaci, decorazioni geometriche. 400 euro, trattabili. Siamo in ritardo, spingo Abe e Cate fuori, partiamo nella luce calda del tardo pomeriggio.
Facciamo un pezzo della stessa strada dell’andata, poi puntiamo verso Solda Gölu. Panorami spettacolari, montagne trasformate dalla luce rosata del crepuscolo.
Costeggiamo il lago per alcuni km alla ricerca di un varco per raggiungere le rive che, da lontano, appaiono bianchissime. Appena trovo un sentiero che punta verso il lago lo imbocco e, arrivati al parcheggio pochi metri prima delle acque, troviamo il resto del gruppo!
Abe ed io ci buttiamo nelle acque nere per l’oscurità: bagno notturno illuminato dalla luna quasi piena. L’acqua è calda, leggermente inquietante perché sconosciuta e resa scura dalla notte, il lago è molto grande, circondato dai profili di pece di alte montagne. Dietro gli ultimi bagliori rossastri del tramonto. Ok... sono finalmente, di nuovo, in viaggio!
Aperitivo in riva al lago con birra e patatine rimediate in un bar vicino, poi arriviamo al paesino vicino, a meno di 10 km. Albergo malmesso, anche se appena rinnovato. Ci accoglie un ragazzo che spiccica qualche parola di inglese, ma principalmente fa ampi sorrisi e cerca di guidare la contrattazione tra noi e il padrone dell’albergo. Fa l’avvocato a Izmir, ma l’estate lavora lì, non capiamo se abbia o meno una parentela col padrone.
Ci rinfreschiamo mentre gli altri vanno in cerca di un posto dove mangiare. Usciamo anche noi, in piazza troviamo due ragazzi: uno fa il panettiere e parla tedesco poiché da piccolo i suoi lavoravano là; l’altro parla olandese e lavora ad Amsterdam. Faccio fare a Cate che parla entrambe le lingue, si offrono di accompagnarci in un ristorante che, secondo loro, a quell’ora, quasi mezzanotte, è ancora aperto. Prendono la macchina, li seguiamo in moto. Si dirigono fuori città, verso il lago. Naturalmente... ritroviamo tutti! I due ragazzi allora si congedano, visto che avrebbero poco dialogo in una tavolata di amici. Cena rapida nel locale che i gestori avevano praticamente chiuso, salvo poi riaprirlo all’ultimo istante, riaccendendo luci, cucina, ecc all’arrivo, una mezz’oretta prima, dei nostri amici.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

10/08
Il muezzin mi sveglia nel cuore della notte. Gli altri ripartono mentre noi ci prepariamo con calma. Nella hall, termine altisonante per descrivere il semplice e spoglio ingresso dell’albergo, ci lasciamo coinvolgere in una conversazione con l’avvocato che ci ha accolto la sera prima. Vuole sapere cosa ne pensa l’UE circa la loro richiesta di ingresso. Secondo lui la gente comune, l’agricoltore, l’impiegato, il cosiddetto uomo della strada, vuole entrare nell’Unione, mentre i corrispettivi europei ha molti più dubbi legati all’immigrazione incontrollata, alla religione, ai diritti umani. Quando accenno a Cipro, risponde che negli anni ’70 c’è stata una guerra da cui hanno dovuto difendersi. Purtroppo non conosco i fatti, quindi non sono in grado né di giudicare né di ribattere. Alla fine concordiamo sul fatto che buona parte delle motivazioni sono politiche, decise ad alto livello: la famosa “gente comune” avrebbe molte meno remore circa l’integrazione turca nell’Unione Europea. Purtroppo dissento sull’ultimo punto in quanto, secondo me, la cara vecchia Europa è molto più razzista e chiusa di quanto non lo sia la Turchia. E non solo perché, superficialmente, sono più poveri di noi, visto che loro, nei secoli, hanno sempre accolto profughi e altre popolazioni in fuga da altre realtà ben peggiori. È una questione di cultura e di storia: la loro terra è sempre stata un crocevia di popoli e imperi, lungo le loro strade senti parlare comunemente molti idiomi, mentre per noi, quando c’è stato, si è trattato di un cambiamento relativamente recente.
Partiamo verso Burdur, poi Isparta, la città delle rose. Cate vuole comprare dell’acqua di rose ma dopo pochi incroci invece di andare verso il centro seguo la deviazione che porta fuori città, verso Egerdir dove abbiamo appuntamento con gli altri. Una sua domanda, posta con la ben nota intonazione provocatoria e aggressiva scatena la mia reazione. Purtroppo è sempre la solita storia di richiesta di rispetto, gentilezza e serenità da parte mia e di richiesta di ascolto e rispetto delle sue richiesta da parte sua. È uno zoccolo duro a morire questo, chissà come e quando sarà superato. So solo che in questi casi iniziano battibecchi sterili senza fine che mal digerisco.
Alla fine le è passata la voglia di comprare alcunché, ma adesso sono io ad insistere!
Chiediamo informazioni ad una signora che tenta di darci indicazioni, ma quasi subito invita Caterina a seguirla. Dopo mezz’ora decido di andare a cercare una banca, ma proprio in quel momento la vedo tornare con un paio di flaconi di acqua di rose e dei dolcetti di riappacificazione. È anche andata in banca. Non è soddisfatta dell’acquisto. In effetti l’odore è intenso, sembra quello di rose fermentate, acidulo. Prima di darci per vinti decidiamo di seguire le indicazioni della guida. Chiediamo per la cooperativa statale Gurbirlik, che dovrebbe essere l’unica in città autorizzata a vendere la vera essenza di rose e i prodotti derivati, ma scopriamo che è proprio il posto dove è appena stata!
Partiamo, con un certo senso di sconfitta, verso Egerdir. La strada è larga e noiosa, poco prima del lago fiancheggiamo un’enorme caserma e, sul fianco della montagna, vediamo una scritta e una bandiera titaniche.
Come al solito rincontriamo il gruppo per puro caso. Sicuramente se tentassimo di darci degli appuntamenti, non avremmo gli stessi successi! Sono in un ristorante in riva al lago, hanno appena finito un pranzo pantagruelico a base di aragosta e altri crostacei.
Il lago è enorme, l’acqua trasparente e invitante. Nessuna vela o imbarcazione in vista, solo una moto d’acqua con due ragazzi che cercano di farsi notare passando a tutta velocità a pochi metri dalla riva. Anche qui troviamo molta pulizia, come in tutti i posti in cui siamo stati finora.
Accanto a noi ci sono due coppie con bambini: il marito è in costume, lei indossa una lunga veste azzurra e il velo. Ad un certo punto una delle due donne indossa le pinne e si immerge col suo sudario. Penso che senza le pinne, rischierebbe seriamente di affogare, con il vestito lungo fino ai piedi carico d’acqua!
Ripartiamo verso Aksu. La guida avverte che non si troveranno benzinai per decine di km e consiglia di fare benzina, ma purtroppo me ne dimentico e la moto è quasi in riserva. Quando me ne accorgo abbiamo ormai fatto troppi km per tornare indietro. Proseguo, confidando nella consueta esagerazione delle guide, nella fortuna e, in ultima istanza, nella disponibilità dei turchi!
L’asfalto è pessimo, ma il panorama indimenticabile. Ci fermiamo quasi subito per comprare un po’ di frutta da alcuni contadini riuniti attorno ad un fontanile, sotto un ampio, vecchio albero. Lungo la strada vediamo alberi da frutto carichi, ne approfittiamo per assaggiare delle prugne. Vedendo la generosità della terra pensiamo che il prezzo irrisorio pagato per l’acquisto in realtà non sia altro che un rimborso per la fatica di cogliere i frutti dall’albero, visto che questi crescono ovunque senza sforzo.
Ho sempre il pensiero fisso della benzina, ormai siamo arrivati all’ultimo paese segnato sulla carta prima del lungo tratto in mezzo ai monti dove sicuramente non c’è nessun distributore. Per fortuna esiste ed è anche fornito!
Le mucche invadono la strada, ci arrampichiamo su montagne maestose, talmente imponenti che continuano a darci la sensazione di immensità anche in mezzo ai picchi.
Su un passo troviamo una ragazza accampata in un’ampia tenda nomade con i suoi due figli, circondati da decine di arnie. Sul banchetto pochi barattoli di miele dal colore ambrato. Vende anche propoli e pezzi di favo completamente ricoperti di miele. Me ne fa assaggiare un pezzo: si mastica la cera come gomma da masticare mentre si sugge il miele nascosto nelle cellette. La gomma da masticare più buona e naturale che ci sia!
Arrivati al fiume la strada peggiora ancora, iniziamo a passare dentro paesini infangati e malridotti. I paesaggi continuano ad essere meravigliosi. La terra si fa rossa, in forte contrasto con i tanti pini che crescono anche nei pochi metri di terra che ci separano dal lago. Siamo soli, su una strada pessima che non si sa quando migliorerà, molto lontani dalla nostra meta, ma in uno stato di grazia tale da farci esclamare in continuazione la nostra gioia.
Arriviamo a Behiseir col buio, siamo presto circondati da un gruppo di moto. Sono tutte molto più nuove e potenti della mia, ma l’entusiasmo per un forestiero è tanta, iniziamo a parlare a gesti, in inglese e in turco. Ci scortano verso l’uscita della città, in direzione di Konia. Vorremmo vedere l’antica moschea in legno, ma ormai è buio e i nostri amici hanno una certa fretta: continuano a superarci a velocità folli e a rallentare per farci passare nuovamente avanti. Quando ormai davanti a noi si oppone solo un muro d’oscurità, ci salutano con ampi gesti e tornano indietro a tutta velocità.
Sono stanchissimo, i km sono stati tanti, su strade molto faticose. L’oscurità mi appesantisce ulteriormente, per fortuna ci supera una macchina di cui riesco a tenere il passo. Appena allunga un po’, perdo strada in maniera esponenziale quindi mi sforzo di correre e raggiungerla nuovamente per guidare più rilassato.
Quando ormai i polsi mi fanno impazzire dal dolore, scolliniamo e Konia ci saluta dal basso con una miriade di luci.
Mi fermo al primo benzinaio della città, stravolto. L’inserviente vede il mio stato e mi offre immediatamente una tazza di tè caldo. Si avvicina anche un signore molto elegante con cui attacco immediatamente bottone. È un rappresentante farmaceutico che vende, per tutta la Turchia, un famoso integratore alimentare e un altrettanto noto analgesico. Di quest’ultimo ce ne regala anche una scatola, che accettiamo con entusiasmo viste le nostre condizioni.
Si offre di guidarci verso qualche albergo. La città è abbastanza grande, facciamo ancora dei km senza fermarci. Un albergo è pieno, un altro non ci piace, ma minaccio di buttarmi per terra se non ci fermiamo! È sporco, nel piccolo salone a fianco della hall ci sono molti turchi, l’aria è viziata e puzzolente di fumo e sudore, ma la stanza è più che accettabile.
Ci rimettiamo in contatto, oltre che col mondo, anche con i nostri amici. Usciamo dopo pochi minuti per evitare lo svenimento da stanchezza. Li troviamo in un bel ristorante con vista sul mausoleo di Mevlana, suggestivo nella sua illuminazione notturna. Il minareto svetta decorato dalla bandiera turca sventolante. A fianco del mausoleo c’è un gruppo di fedeli che, anche se è notte fonda, cantano con grande ispirazione.
La cena è ottima, ci mettiamo d’accordo per domani e dopo una breve passeggiata torniamo finalmente in albergo!

 
 

Pagina precedente
Indice

Pagina successiva
Pagina 2

Torna all'inizio della pagina

Torna all’inizio
della pagina

Torna all'inizio della pagina