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 Diario di viaggio Tunisia 2006

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(Preparazione, partenza, traghetto Salerno-Tunisi, Tozeur, Chebika, Tamerza, Mides)

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CapoDaTTero 2006 - Gomma che ti passa!

Prima di tutto riporto il chilometraggio di Nelik!

Contachilometri alla partenza
219.905

Contachilometri all’arrivo
222.505

Chilometri percorsi 2.600

Giornate:
25 dicembre 2006
26 dicembre 2006
27 dicembre 2006
28 dicembre 2006
29 dicembre 2006

25/12/2006
Casa dei miei: sveglia prima dell’alba per raffreddore, sveglia effettiva h. 9. Ultimi controlli su Internet, saluti, vado a casa mia per caricare altri bagagli.
Partenza h.12, arrivo a Benevento dai genitori di Caterina alle 14 per il pranzo di Natale con cardone e molto altro.
Arriviamo a Salerno alle 18, ci imbarchiamo alle 18:30, ma la partenza è molto ritardata, sarà solo alle 21:20 (invece delle 19).
Prendiamo un tavolino nell’unico salone della nave, iniziamo per la prima volta a studiare la guida.
Il salone è pieno di uomini, qualche bambino, pochissime donne: dove saranno?
Un italiano di Napoli che ha aperto una fabbrica di scarpe a Souss s’è piazzato al tavolo di altri tre tunisini e parla della sua vita nel loro Paese.
I doganieri italiani mi hanno pronosticato guai con la mia inutile dichiarazione in carta bianca autoprodotta (c’ho provato! ;) per l’uso della moto, intestata a mio padre. Penso che non gliela farò nemmeno vedere, sperando che non si accorgano della differenza di nome.
Slim, un ragazzo appena conosciuto, mi dice che al peggio me la caverò con una bottiglia d’alcol o qualche pacchetto di sigarette oppure una decina d’euro ai poliziotti.
Ci sistemiamo nei corridoi delle cabine per passare la notte. Non siamo molto isolati, ma la stanchezza è tanta.
Annunci del capitano:
“La nave è piena, dobbiamo stare vicini-vicini!”
“Vi ricordo che è vietato fumare, altrimenti vi denuncio alla polizia! E chi ha un permesso di soggiorno, *SA* cosa vuol dire una denuncia.....”
Incredibile, siamo senza parole!
Ondate di vibrazioni ritmiche del motore, cuore pulsante della nave che predomina e si fa sentire sempre, sopra tutto.

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26/12
Verso le 6 iniziano le manovre per entrare nel porto di Palermo. La notte è un via vai di persone dalle/nelle cabine. Alti toni di voce.
Alle 9 ci alziamo, sul ponte c’è un sole meraviglioso, caldo.
Chiamo Emiliano, purtroppo siamo sul lato sbagliato dell’Isola!
Chiacchiere con una donna bolognese che conosce 8 lingue, poi rientriamo e parliamo un po’ con una anziana signora algerina. E’ simpatica, ha gli occhi buoni e il sorriso dolce.
La nave è stracolma.
Nuovo annuncio:
“Dobbiamo aprire il self service, ma se occupate tutti i tavoli non possiamo aprire. Vi siete resi conto che non c’è posto per tutti, allora non possiamo mangiare tutti, eh!”
Fila chilometrica al self-service, da cui sento: “Guardate, vi lascio senza mangiare!”. Liti col personale di bordo.
Con la signora algerina parliamo di posti, abitudini, usanze, cucina di Tunisia, Algeria e Marocco. Si chiama Malika, significa “regina”, vive a Villa San Giovanni da 18 anni, ma non parla molto bene l’italiano. Faceva assistenza agli anziani.
Quando parla del cous-cous, con aria schifata dice che in Marocco si mangia con le mani:
“Che schifo! Meglio morire di fame!” esclama.
Iniziamo così ad intuire le molte differenze tra i Paesi del Nord Africa, vedremo meglio nei prossimi giorni.
Il rumore delle onde, l’orizzonte lontano, le poche nuvole sospese mi fanno sognare le sensazioni provate durante le traversate in solitaria dei vari Soldini, ecc. Deve essere meraviglioso, unico, totalizzante.
Parliamo con altre persone, tra cui un ragazzo tunisino che lavora come muratore a Pesaro e ha le idee più chiare di tanti italiani.
Caterina soffre più di me la durata del viaggio in nave. In effetti 24h su un traghetto sono molte, ma lo vedo in modo più positivo. La lunghezza del viaggio di andata aiuta a tracciare una linea netta tra “ieri” - il lavoro, gli ultimi febbrili preparativi, l’ansia - e “domani” - il viaggio vero e proprio, il nuovo Paese, le nuove esperienze.
Aiuta a staccare, a ritrovare un ritmo lento e recettivo, si leggono le varie guide e articoli, ci si rilassa.
La lunghezza del viaggio di ritorno aiuta ad apprezzare il rientro, a desiderarlo.
Incontriamo anche una coppia di ragazzi su un’XT, chissà se riusciremo ad incontrarci lungo la strada!
Arrivamo a Tunisi in anticipo! Solita coda interminabile per scendere, ma è stato peggio lo scorso anno in Turchia.
Inizia la trafila dei documenti, solito panico per Nelik, intestata a mio padre. La fila non è molto lunga, ma è asfissiante perchè siamo sotto un hangar di cemento e tutti tengono i motori accesi, nonostante l’immobilità dell’attesa.
Stupore! Non dicono nulla sul proprietario della moto, non ci fanno nemmeno caso. In compenso il doganiere, quando inizia a sfogliare il mio passaporto, diventa sempre più attento. Penso che sia incuriosito dal numero di visti, gli rispondo orgoglioso alle varie domande (“Quello è dell’Iran! Quello del Turkmenistan” e così via). Poi esce per andare a chiamare un superiore e inizio a capire che qualcosa non gli piace. Quest’altro mi chiede che lavoro faccio, dove trovo i soldi per viaggiare, come sono in Iran, perchè sono in Tunisia, perchè viaggio così tanto. Alla fine lo convinco della buona fede.
All’uscita parlo con una italiana che mi dice che avere visti di altri Paesi arabi li insospettisce, per questioni di sicurezza anti-terrorismo. E con questo fanno due volte che mi scambiano per un terrorista (v. arresto a Stalingrado nel 2001).
Dopo aver passato l’ultimo sportello con timbri e contro-timbri, mi accorgo che non ci hanno dato le fiche delle persone, da conservare fino all’uscita dalla Tunisia e da riconsegnare in dogana tra 10 giorni.
Ci penseremo quando usciremo, ora vogliamo andare in albergo!
Lago di Tunisi, luci in lontananza, poi TUNISI!!! Ancora non riesco a crederci...
L’albergo è in piena medina. La notte è blindata dalla polizia, è completamente pedonale, ma vista l’ora ci fanno entrare ugualmente, per scaricare i bagagli. Emozione unica girare in moto per questi vicoli!
Scarichiamo, Cate non vuole farmi entrare finchè non siamo pronti, è il suo regalo di Natale, il posto deve essere spettacolare e anch’io voglio godermi la sorpresa.
Mi accompagna al garage, sotto la piazza del Governo, ma prima cena veloce in un posto poco attraente ma buono.
Torniamo in albergo, che è un vero SOGNO ORIENTALE, cinque stelle, quelle della Mille e Una Notte!
Bagno rigenerante con essenze di gelsomino, ’notte.

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27/12
   

Albergo Dar El Medina

 

Mille e una notte
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Albergo Dar El Medina

 

Pronto? Mi trasferisco qui!
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Ci svegliamo alle 9 immersi nel Sogno Orientale. Mi sento come Corto Maltese, passato attraverso una qualche magica corte veneziana e arrivato in un meraviglioso passato.
La camera da letto è molto grande, con un grande tappeto che corre da un lato all’altro della stanza ed un lampadario sfavillante che pende dal soffitto. Sulla sinistra il lettone occupa tutto lo spazio disponibile, di fronte all’ingresso una nicchia con splendidi azulejos decorati alle pareti, delle panche di legno intagliato con cuscini e un tavolo di rame inciso e battuto. Il soffitto è in legno dipinto e affrescato, ci sono grandi travi di legno. La parte alta delle pareti ha delle decorazioni in gesso, in tipico stile arabo-musulmano. Nella parte destra della stanza c’è un armadio antico, una scrivania in legno anch’essa antica e la porta del bagno. Infine c’è un piccolo spogliatoio con l’ingresso vicino al letto.
Anche il resto dell’albergo è unico. Era la casa di un ricco tunisino (un antico dar), ora restaurata e trasformata in hotel de charme. L’architettura è quella tipica tradizionale araba, con una corte interna e tutte le stanze che vi si affacciano. Al piano terra c’è solo un’altra suite (oltre la “nostra”), una grande stanza di servizio e una sala da tè arredata con bassi tavolini e panche in legno intagliato, tappeti, decorazioni geometriche in gesso alle pareti di un bel color deserto. Ai piani superiori altre stanze, poi un altro ambiente della sala da tè (che funziona indipendentemente dall’albergo) e una grande terrazza con vista sulla medina.
La colazione include vari lieviti, tè alla menta, succo d’arancia, torte noisette, bonbon des turcs e molto altro.
   

Finestre di Tunisi

 

Geometria di finestre
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Porte di Tunisi

 

Geometria di porte
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Montoni a Tunisi

 

Montone sacrificale
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Lunga passeggiata nella Medina. Vediamo molti montoni comprati per la festa del 30, la Pasqua musulmana che commemora il sacrificio di Abramo. Sono un po’ ovunque: in fondo ai vicoli, agli angoli delle strade che mangiano, ma soprattutto al guinzaglio di donne, uomini, bambini che li portano nelle rispettive case in attesa di macellarli per la festa.
Incontriamo Salem che ci guida per un po’ attraverso la medina. Quando vediamo delle persone che trattengono un uomo, urlante, che cerca di divincolarsi per andare a picchiare un altro, ci fa fare marcia indietro e una lunga deviazione. Dice che si tratta di liti tra famiglie di vicini.
Alla fine, dopo un po’ di chiacchiere e deviazioni “panoramiche”, ci porta da un suo amico che vende tappeti. Giro sulla terrazza con vista sulla medina. Conosciamo così tanti commercianti, ragazzi più o meno giovani che parlano tutte le lingue del mondo e cercano di vendere qualcosa della loro miriade di oggetti.
Prendiamo vari accessori in legno di ulivo per la cucina. Poi essenze profumate tra cui il Viagra tunisino (come si dice, non è vero ma ci credo! ;) ossia un olio profumato chiamato Harem che aiuta a fare tanto “tik tik bum bum”: la donna deve metterne una goccia su ciascun seno e l’uomo due gocce sulla pancia. A quel punto l’attrazione e le prestazioni saranno irresistibili e indimenticabili.
Pranzo nel ristorante di un amico del venditore di profumi: la medina è una ragnatela di relazioni estese, onnicomprensive!
Altri giri nei souk, poi diventa veramente tardi.
Lasciamo in albergo il cesto e gli altri accessori in legno appena comprati, torneremo a prenderli il giorno della partenza.
Riesco a trovare una strada praticabile per arrivare di nuovo sotto l’albergo a caricare i bagagli.
Partiamo per Tozeur alle 16! Autostrada.
Tramonto meraviglioso con riflessi di mille colori nelle innumerevoli pozzanghere che si allargano nei campi a perdita d’occhio.
Freddo intenso. Cate per fortuna ha il gilet riscaldato che le ho appena regalato, subito ribattezzato scaldasonno.
Rettilinei lunghissimi, miraggi di tremolanti luci all’orizzonte irraggiungibili per lunghissimi minuti e chilometri infinitamente lunghi. Milioni di stelle. La notte è segnata dalle sagome illuminate dei minareti: fari di fede, fari di orientamento.
Attraversiamo a grande velocità molti ouadi in secca, in rapidissimi saliscendi dove vediamo solo l’oscurità fitta, solida, adagiata sul loro fondo che lascia posto in un istante, e per un istante, al faro di Nelik che lo illumina e punta subito al cielo, pronto per il prossimo avvallamento.
Anche Simone dorme a Tozeur, incredibilmente nello stesso albergo (Residence El Warda, 28 TND per 2 persone, colazione inclusa) che abbiamo prenotato da Tunisi, ma arriviamo troppo tardi per poterci incontrare.
Residence spoglio, ma apprezzato per la grande stanchezza. A letto senza cena!
Perfetto silenzio, tranne una goccia nello sciacquone, subito silenziata con carta igenica e un po’ di ingegno.
Continuo ad avere dei lapsus incredibili: Tunisi diventa Tangeri, la Tunisia, Marocco. Convinto parlo a Cate di quando stamattina a Tangeri avevamo incontrato il venditore di fez che aveva lavorato a Roma, a due passi da dove ho abitato per 20 anni.
“Tangeri?” fa lei.
“Eh, Tangeri!”
“Dove eravamo stamattina?”
Non capisco, penso ad un qualche gioco di parole che mi sfugge, un riferimento ironico, ma non trovo nulla e quindi ribadisco:
“A Tangeri!”
Se non fosse lei a dirmelo, sorridendo, penso che non me ne sarei accorto!
Parcheggio la moto in un corridoio dell’albergo, dietro a quelle di Simone e Lucia. Mi faccio dire il numero di stanza, busso delicatamente alla porta, non ricevo risposta, vado a dormire, sono le 23:30.

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28/12
Muezzin ad un’ora indefinita della notte. Parafrasando Battiato, “di tanto in tanto un gallo copriva le distanze”. Alle 7 mi sveglio definitivamente, ma aspetto la sveglia, puntata alle 7:30.
Oggi vogliamo prendere il trenino storico Lezard Rouge.
Appena scendo nella hall sento “Eccolo!”. Così incontro Simone. Purtroppo siamo in forte ritardo, il treno parte al mattino presto, una volta al giorno. Possiamo scambiare solo poche parole, speriamo di rincontrarci nei prossimi giorni.
Rifacciamo la strada di ieri notte, con la piena luce del giorno. E’ una grande distesa, piatta, incorniciata da montagne lontane.
   
 

Treno Lezard Rouge

 

Treno dei desideri
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Allattamento di un cucciolo di dromedario

 

Posso assaggiare?
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Cartello dromedario

 

Attraversamento dromedari
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Gole di Selja

 

Gola in piena
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Arriviamo giusto in tempo per prendere un posto, c’è il pienone!
Si parte: periferia di Metlaoui con bambini che rincorrono il treno salutando; mercato a bordo ferrovia.
Gole molto belle, l’ambientazione del treno d’epoca le rende uniche, facendoci pensare alla canzone di Battiato e sentire davvero, dal profondo, che “per un istante ritorna la voglia di vivere a un’altra velocità”.
Lungo la strada di ritorno a Tozeur ci fermiamo per fotografare dei dromedari. Un piccolo, dal pelo candido, è allattato dalla madre che ci guarda da lontano, preoccupata.
Dal nulla sbuca un bambino che inizia a seguirci. In francese sa dire solo “bonjour”, null’altro. E’ incuriosito, vuole vedere cosa facciamo, non chiede nulla. La sua discrezione è premiata da Caterina con mezzo dinaro. Mentre stiamo tornando alla moto, un furgone arriva dalla pista che avevamo imboccato per qualche metro per seguire i dromedari. Ci saluta rapidamente, poi si rivolge in modo brusco al ragazzino. Dal tono e dai vari gesti capiamo che gli sta chiedendo che sta facendo, perchè ci segue, dove abita, perchè non ci lascia in pace. Assistiamo senza parlare, non sapremmo neanche bene cosa dire, oltre al fatto che non ci sta assolutamente infastidendo.
Torniamo a Tozeur, pranziamo nel ristorante gestito da due francesi.
   

Medina di Tozeur

 

Finestra spiona
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Giro nella medina al seguito di un anziano signore. Grazie a lui scopriamo angoli e significati di tanti dettagli. Impariamo a riconoscenre le finestre usate solo ed esclusivamente dalle donne sono a maglie fittissime, molto decorate e permettono di guardare senza essere visti. I portoni antichi hanno tre battacchi, con tre suoni diversi: quello di sinistra per le donne (la mano libera, visto che con la destra tengono il velo); quello di destra per gli uomini e quello più basso per i bambini. Molti infissi sono in legno di palma, robusto e longevo (e unico presente da queste parti, aggiungo io!). Le porte di ingresso delle moschee sono quasi sempre verdi e con la porta superiore rotonda. Il verde è il colore sacro dell’Islam, mentre l’azzurro è la speranza (mentre da noi il verde è la speranza). Il minareto ottagonale è musulmano. La medina di Tozeur è del XIV secolo. I mattoni sono fatti di argilla e sabbia, dal colore molto rilassante. Le case della medina sono abitate da famiglie molto antiche, indipendentemente dal reddito e sono tutte molto grandi perchè fino al 1956 era contentita la poligamia e le famiglie erano molto numerose.
Breve giro nella palmeraia prima di tornare in albergo, ci riproveremo domani con la luce.
Stasera è in programma un concerto di musica rai. Appena arrivati nel grande spiazzo, ci abborda un ragazzo con l’alito pesantemente alcolico. Subito ci offre di andare a prendere qualcosa da bere nel bar dove lavora e domani di mangiare con la sua famiglia. Non mi ispira fiducia, scambiamo due chiacchiere poi giriamo i tacchi e ce ne andiamo, visto che, a suo dire, il concerto inizierà con 2 ore di ritardo.
Tè mediocre in un bar poco lontano, poi torniamo per scoprire che il concerto è già iniziato! Incontriamo di nuovo il ragazzo che se ne sta andando. Cate è guardata da *tutti*! Siamo coinvolti da diversi ragazzi attorno a noi nelle varie danze che si scatenano. Tutti conoscono tutte le canzoni, sono molto popolari e sentite. Partono cori, balli di gruppo. L’unico che resta immobile, faccia serissima, sguardo fisso al palco è un ragazzino che avrà una decina d’anni. Quando il cantante sventola una bandiera algerina, tutti esultano: si sentono fratelli. Ripenso alle differenze tra i Paesi del Nord Africa emerse parlando con Malika sul traghetto, che ora mi sembrano molto lontane, azzerate.
Finisce presto, forse a causa di una rissa scoppiata nelle ultime file. Prima di andarcene facciamo defluire quasi tutti, imbocchiamo la strada per l’albergo, ma veniamo fermati da alcuni ragazzi per una nuova rissa (il proseguimento della precedente?). In mezzo alla strada c’è un mattone enorme, in frantumi. Sui marciapiedi alcuni ragazzi sono armati di bastone. Giro le ruote e cambio strada.
Albergo, moto dentro corridoio, lettura di guida, articoli e cartina, ’notte!

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29/12
Notte tranquilla, a parte il fatto che “di tanto in tanto una goccia copriva le distanze” tra me e il bagno!
Oggi andremo nelle oasi di montagna, sveglia alle 7:30 come ieri, anche se con ritmi più rilassati.
Il cielo è lattiginoso, padano. Un distributore di benzina è rotto, un altro è chiuso. Nonostante la scarsa autonomia, partiamo lo stesso. Percorriamo la strada che arriva a Chebika attraversando il chott: qualche dromedario, chiazze di sale che sembra neve. Ci fermiamo per camminare, vedere, toccare. Cristalli candidi con impronte di dromedario, pietre colorate, dalle forme fantastiche. La nostra lunga passeggiata e raccolta insospettisce i poliziotti del posto di blocco lì vicino.
   
 

Guida di Chebika

 

Omar Sharif
&
Omar Nelik
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Oasi di Chebika

 

Palme senza cocchi
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Oasi di Chebika

 

Gola con
lingua verde
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Oasi di Chebika

 

Cocchi con palme
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Oasi di Chebika. Pietre malamente colorate dai venditori di souverir, rose del deserto, altri minerali. Una guida sedicente ufficiale ci abborda e dopo aver brevemente contrattato il suo compenso (5 TND), inizia a portarci tra le case crollate del villaggio distrutto dall’alluvione del 1969. Qui hanno girato film come “Gesù di Nazareth” e altri. Attraversiamo un passaggio strettissimo tra due alte pareti di roccia, poco oltre ci sono altri venditori di pietre e ... una specie di iguana! Pare che sia un animale del deserto, non saprei dire il nome preciso. Scendiamo verso una piccola cascata di acqua tiepida, che poi si trasforma in una cascata più grande.
Ripartiamo, poco prima di Tamerza altra cascata, ma più alta e abbondante di quella di Chebika. Qui nessun assalto per guidarci, anche perchè il percorso è veramente brevissimo, ma nonostante questo ci sono molte bancarelle di souvenir.
Proseguendo verso Tamerza, prendo una deviazione per l’oasi. Ci inoltriamo in un viottolo pavimentato a grandi pietre sotto ad alte palme, molte delle quali ancora cariche di datteri, evidentemente di una varietà che matura più tardi. Ne cogliamo alcuni, sono buoni.
   

Oasi di Tamerza

 

Bianco marabutto
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All’ingresso di Tamerza incrociamo un ragazzo in bicicletta che inizia ad inseguirci, capendo che stiamo cercando la parte vecchia. Proseguo per alcune centinaia di metri, quando raggiungo una piazzetta che mi sembra essere vicino a Tamerza vecchia, arriva trafelato e ci indica il viottolo con cui si arriva alla parte diroccata. A Caterina sembra un personaggio uscito dal film di Pasolini “Il fiore delle Mille e una notte”, un volto dai lineamenti rozzi e delle mani immense da lavoratore. Si offre come guida e propone un altro ragazzo come guardiano della moto e dei bagagli: accettiamo entrambi anche se con seri dubbi sulle sue capacità di guida!
Ha un italiano (ed un francese, un tedesco, poi non so cos’altro) molto fantasioso, ci parla dei “dattili [datteri] bboni per la persona”, ci mostra l’antica “moschetta” [moschea] e poi tante altre chiacchiere che anche sforzandoci, o usando altre lingue, spesso capiamo solo in parte o per nulla.
Ci parla delle palme da datteri maschio e femmina. Ci indica due palme tra le quali quella senza datteri è ovviamente il maschio e poi divaga in una spiegazione su: voi, amor...unendo gli indici per simulare l’impollinazione.
Le rovine sono meno appariscenti di quelle di Chebika, meno immerse nella natura e nella montagna. Il lussuoso (anche se visto dalle rovine non lo sembra particolarmente) albergo che domina un lato della collina che chiude a nord il panorama, rovina ulteriormente l’atmosfera. Il bel palmeto a sud, invece, e oltre la vista più ampia fino alle lontane montagne, recupera un po’. Incontriamo un tedesco che fa l’itinerario delle oasi di montagna a piedi! Torniamo alla moto, 3 TND alla guida, 1 TND al guardiano.
Poco prima di Mides la strada è inghiottita dal palmeto, non c’è traccia del villaggio. Temiamo una delusione, anche se la vista del palmeto è magnifica: alte palme coprono alberi da frutta che sovrastano gli orti. Un microcosmo verticale completo che deve approfittare della poca acqua presente per dare il massimo e sfruttare il più possibile acqua, terra, luce.
Proseguiamo e poco oltre vediamo delle rovine e le immancabili bancarelle. Un uomo ci avvicina e offre come sempre il suo aiuto per un giro da mezz’ora o da un’ora. Vista l’ora e quello che vogliamo fare, optiamo per il giro breve, che quindi non scende sul fondo della gola, ma si limita ad osservarla dall’alto. Ci dice che qui tutti possiedono un pezzetto di terreno nell’oasi, per avere datteri e verdura. A proposito dei datteri, ci dice che ne esistono 106 varietà (la guida di Chebika ci aveva detto 146!) e che le stagioni troppo piovose rovinano i datteri, l’acqua li rende più insapori.
   
 

Gole di Mides

 

Gola pronfonda
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Iniziamo a salire un viottolo che fiancheggia le case parzialmente crollate e in pochi metri ci ritroviamo sul ciglio della gola. E’ spettacolare, ampia, profonda, ocra, beige, marrone dal chiaro allo scuro. Sul fondo si intravede in alcuni punti un po’ di vegetazione, mentre nei punti più stretti solo il fango rimasto dalle ultime piogge e forse da una sorgente che continua ad inumidirla. Il sentiero corre sul ciglio del canyon, basterebbe veramente poco per finire di sotto. Fiancheggiamo tutto il villaggio dal lato della gola, per finire magicamente praticamente dentro al negozio di souvenir di un amico della guida.
Ha molti minerali, alcuni veramente belli. Conchiglie fossili che all’interno si sono cristallizzate, miche trasparenti come vetro, quarzi e altri che purtroppo non conosco/ricordo il nome. Iniziano molte contrattazioni, su più fronti. Il ragazzo della bancarella è simpatico, brillante, sfodera anche un ampio rotolo di banconote, più di tutto quello che abbiamo tra me e Caterina! Alla fine prendiamo un paio di miche, delle pietre con forme che sembrano lavorate dall’uomo, alcune rose del deserto. La guida osserva da lontano, non commenta quando il ragazzo ci propone un fossile cristallizzato a 45 TND. Quando protesto che è troppo, risponde “Dai, lasciamela, non prenderla, perchè questa la vendo al volo agli americani a 60, invece a te dovrei fare molto di meno, lascia perdere per favore!”
La guida segue tutto in silenzio, non commenta, poi si avvicina e ci dice piano all’orecchio “Conosco una persona al parcheggio che ha fossili del genere, ma costano molto meno!”
Chiudiamo rapidamente, anche per non attardarci troppo e andiamo dall’altro amico della guida.
Apre un magazzino ricavato in una delle case diroccate. Dentro ci sono datteri, attrezzi vari e alcuni scatoloni pieni di minerali e fossili. Queste zone sono *piene*! Iniziamo una lunga contrattazione, tira fuori molte conchiglie, alcune molto belle. Dagli 80 TND iniziali arriviamo a 30 TND più una banconota da 5 euro. In queste situazioni non sai mai se stai pagando comunque troppo oppure il giusto. In ogni caso le conchiglie sono molto belle, sono dei ventagli pietrificati, l’esterno è conservato magnificamente e l’interno è cristallizzato con colore marrone scuro e beige chiaro.
Ci facciamo offrire un tè, paghiamo i 7 TND pattuiti alla guida e ripartiamo verso Redeyef, sia per fare benzina, che ormai è agli sgoccioli, sia per cercare la famosa pista di Rommel.
Il paesaggio fino a Redeyef corre in quota tra paesaggi pietrosi. Solito posto di blocco di polizia, Redeyef è una città moderna piuttosto brutta. Chiediamo ad alcune persone. Mi stupisce che fuori da Redeyef tutti conoscono la pista di Rommel, qui cadono tutti dalle nuvole. Faticosamente e un po’ ad intuito troviamo la direzione, finchè un ragazzino su un motorino ci affianca, capisce cosa cerchiamo e ci porta all’imbocco della pista. Sapevo che c’era una nuova pista di Rommel, in parte asfaltata e in generale in condizioni migliori e capisco che ci troviamo su quella.
   

Nuova pista di Rommel

 

Strada verso
l’infinito
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Ci immergiamo in panorami unici, aggrappati alle montagne rosso ocra, con creste simili a quelle di un drago.
Il sole, sempre nascosto dalle nuvole, tramonta rapidamente. Siamo a valle, a Segdoud. Ora ci aspetta una pista che corre sotto il bordo della montagna verso Chebika. La pista si vede sempre meno, inghiottita dall’oscurità, e a volte è distrutta dagli ouadi nelle piene passate. Sono abbastanza tranquillo perchè sono sicuro della direzione, l’importante è fiancheggiare la montagna: prima o poi dovremo per forza incrontrare la strada asfaltata che attraversa il chott. All’orizzonte gli ultimi raggi di sole ci regalano squarci rossi e violetti che ci consolano.
   
 

Pista verso Chebika

 

Prima o poi
l’asfalto arriverà!
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Dopo una trentina di km, però, comincio ad innervosirmi, perchè ormai l’oscurità è fitta e la strada non arriva. Finalmente vediamo in lontananza i fari delle macchine e dopo qualche altro km e molti sobbalzi arriviamo all’asfalto.
Questo risulta essere ancora meno visibile della pista (!): si mimetizza perfettamente col resto, quindi rischio di ritrovarmi sullo sterrato laterale.
Mi accodo a due fuoristrada con fari decisamente più potenti del mio, strada più grande, poi finalmente Tozeur.
Albergo, poi cena con passeggiata nella bellissima medina. Bagagli appesantiti dalle tante, nuove pietre, minerali e fossili.

 
 

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